Tauropatie
di Matteo Meschiari
Un aficionado
uscì dall’arena e si accorse di non ricordare più nulla. Andò al caffè degli aficionados per ascoltare le tertulias ma anche gli altri avevano
dimenticato tutto. Restavano in silenzio, così, davanti al bicchiere. Quando l’aficionado si svegliò bagnato di sudore capì
che si trattava di un sogno. Proprio come la corrida, pensò.
Un aficionado
aveva tanta paura di dimenticare il trapío
di un toro e la faena di un torero
che prendeva costantemente appunti. Non alzava mai lo sguardo dal taccuino.
Quando morì, un amico lesse e rilesse gli appunti ma non riconobbe nessuna delle
corride che avevano visto assieme. Anzi, gli appunti sembravano i deliri di un
torero impazzito.
Un ricco aficionado andò a farsi tagliare un abito dallo stesso sarto di
Belmonte. Quando il sarto lo trattò con fare altezzoso l’aficionado si risentì e fornì le credenziali: «Lei sa? Io Belmonte
lo conoscevo bene», e il sarto replicò: «Davvero Maestro? E lei con quale nome
toreava?».
Un torero stava toreando malissimo e fu
sommerso dai fischi, ma uno dei fischi era così acuto, così forte e così
sfrontato che il torero individuò il responsabile nella folla e gridò: «Vieni
tu quaggiù se sei capace!» e l’altro rispose: «Vieni tu quassù e paga il biglietto!».
Un torero era così mistico che diceva
di andare a toreare senza il corpo. Quando morì di una cornata insolitamente
concreta l’impresa di pompe funebri non seppe cosa fare.
Un torero molto sfortunato fece
l’ennesima faena sfortunata. Quando
una giornalista lo intervistò e lo interrogò sulla sua sfortuna lui rispose:
«La montera è nera, le calze rosa».
Un torero andò in vacanza alle Maldive
dove un aficionado che era lì per
caso lo riconobbe e lo avvicinò: «Maestro, come si sente?» e il torero rispose:
«Piuttosto accaldato».
Un novillero
cercava in tutti i modi d’inventare il proprio stile. Ci provò così a lungo e
con tale accanimento che alla fine anche il tempo si scordò di lui. All’età di vent’anni
invecchiò di colpo e del suo stile non c’era alcuna traccia, nemmeno dentro di
lui.
Un vecchio torero decise di tornare
un’ultima volta nell’arena. Non era per dimostrare qualcosa o per ritrovare la
giovinezza o per morire dignitosamente. Così fece una corrida più che mediocre
ed era lì per andarsene quando una giornalista in tailleur gli rubò un
commento. Il vecchio torero si voltò e le disse: «Chiedilo al toro».
Dopo molte ore di buio un toro entrò
nell’arena e sorpreso dalla luce pensò: «È questo il paradiso?». Poi combatté
con un cavallo, tentò d’incornare un essere bipede e per ultimo inseguì qua e
là un pannetto rosso spiritato. Alla fine, poco prima di crollare, si chiese:
«È così il paradiso?». Ma nessuno della sua specie era lì per rispondergli.
Un aficionado
molto noto decise di ritirarsi in campagna e di scrivere un trattato. Quando
tornò il trattato non era pronto e lui smise anche di parlarne. Passarono gli
anni e un giorno qualcuno glielo ricordò: «E il famoso trattato?». Lui si
grattò il naso e rispose: «Bella la corrida!».
Un critico taurino sosteneva
inflessibile che la corrida è la corrida. Se un toro era bravo «la corrida è la
corrida», se un torero era scarso «la corrida è la corrida». «E se i tori
fossero elefanti rosa?» chiese qualcuno. Il critico rispose senza la minima
esitazione: «La corrida è la corrida». Da quel giorno non scrisse più nulla,
nemmeno un rigo. Finalmente aveva detto tutto.
Un club di aficionados amava dare premi ai toreri per invitarli a cena e farsi
fotografare con loro. Una sprezzante commessa di Armani vendeva abiti molto
costosi come se fosse lei la stilista. Un camaleonte salito sul cofano di una
Ferrari andava molto orgoglioso del proprio rosso. Com’è cominciata la storia?
Un animalista si cosparse di sugo di
pomodoro e andò ai piedi di un’arena per protestare. Dopo qualche minuto la via
era completamente invasa da milioni di spaghetti affamati.
Un novillero
andò in visita da un vecchio torero e gli chiese: «Maestro, cosa posso fare per
vincere la paura?», «Puoi evitare di evitarla». «E cosa posso fare per trovare
il coraggio?», «Smettere di cercarlo». «E per essere un buon torero, Maestro,
cosa devo fare?», «Cambiare mestiere?».
Un toro era in posizione e un torero
stava per dargli la stoccata. Quando la lama entrò nel dorso, il dorso era la
lama e la lama il dorso. L’uomo e l’animale, invece, erano altrove. Ma di
questo non se ne accorse nessuno.
Un vecchio aficionado era solito dire: «Il pollice è il vedere, le altre dita
sono il parlare del pollice», quindi alzava il pollice come un antico romano e
lentamente lo chiudeva dentro il pugno. Con questo voleva ribadire che le tertulias sono essenziali e che l’imprendibile
della corrida è il nocciolo dei discorsi sulla corrida. Inoltre ripeteva:
«Scheletri e indizi», paragonando l‘aficionado
a un detective.
Un aficionado
stava guadando il primo toro di una corrida ma ebbe la sensazione che si
trattasse del secondo. Quando fu il turno del secondo pensò che si trattasse
del primo. Al terzo credette di vedere il sesto, al sesto il secondo, al quinto
il primo, al quarto il terzo, e quando l’illusione del tempo ciclico, del tempo
immobile e della falsa memoria lo avvolse, di lui non si seppe più nulla.
Un animalista sosteneva che al toro,
prima della corrida, vengono inflitte le seguenti atrocità: sabbia negli occhi
per comprometterne la vista, sacchi di sabbia sul dorso per fiaccarne le forze,
droghe per intontirlo, spilli nei testicoli per farlo impazzire. Quando qualcuno
gli spiegò che il toro deve invece essere al meglio, come un atleta alle olimpiadi,
l’animalista si drogò, si gettò sabbia negli occhi, si fece lanciare un sacco di
cemento sulla schiena e, mi duole dirlo, infilò degli spilli nell’insalata.
Durante l’ultima corrida a cui Juan
Carlos assistette in qualità di re prima di abdicare, la gente si commosse e accolse
il sovrano con un caloroso applauso di addio. Tutti tranne un anarchico, che
rimase seduto e fischiò. La folla lo prese, lo consegnò alla guardia civile e
un tribunale convocato per direttissima lo condannò alla repubblica a vita.
Un torero filosofo era convinto che il
toro incarnasse il principio di non contraddizione. Quando sognò di farsi
incornare e il pubblico domandò l’indulto
passò dalla filosofia alla psicanalisi.
Un torero esistenzialista diceva che la
corrida è metafora della vita. Quando un torero surrealista gli disse che la vita
è metafora della corrida lui lo aggredì: «Ah no, ti sbagli di sicuro. E
comunque dipende da cosa intendi per corrida».
Un torero anarchico avrebbe voluto
toreare con una muleta rossa e nera.
Non lo fece solo perché per il toro non avrebbe fatto alcuna differenza.
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