Professioni di ateismo II
di Alfonso Pinto

Non è un caso, né tantomeno la volontà di Dio, a far coincidere la fine delle grandi esplorazioni (e le loro annesse narrazioni) con la nascita della fantascienza. Tuttavia, anche se l’attenzione si sposta sul tempo, lo spazio, inteso come dimensione fondante della geografia, non smette di solleticare l’immaginazione.  C’è però un cambio di prospettiva che merita una certa attenzione. A un altrove che promette gioia e avventura, si sostituisce l’immaginazione di un futuro, potenzialmente carico di aspettative similari.


“E il mare concederà a ogni uomo nuove speranze, come il sonno porta i sogni”, disse (secondo qualcuno) Cristoforo Colombo. Il racconto del viaggio ha per secoli rappresentato il mondo, tanto nella sua materialità che nella sua idealità. Lo abbiamo detto. C’erano alcuni che ci mettevano tanto il culo quanto la faccia. Poi il mondo finì… Ma prima della perentoria affermazione di un’umanità proiettata al futuro e allo spazio (quello cosmico dell’universo), in quella fantasmagorica Europa a cavallo fra XIX e XX secolo, due opere assai significative vedono la luce. Un trait d’union forse… fra spazio e tempo…  Si tratta di due romanzi nei quali la dimensione geografica perde la sua materialità, il suo essere rappresentazione di una pratica di appropriazione. In essi lo spazio diviene metafora, o forse, se vogliamo, allegoria di quello che per sua stessa natura non può coesistere su un medesimo piano. Come esprimere in un determinato presente l’immanenza del futuro o la persistenza del passato? Flaubert affermava, non certo a torto, che l’avvenire ci tormenta mentre il passato ci trattiene… e che per questo motivo il presente ci sfugge. Wells rispose al problema con l’immaginazione tecnologica, con una macchina capace di trascendere questo limite invalicabile. Altri, in modo più raffinato e più efficace, trovarono la risposta in un uso nuovo della geografia. Essi fecero dell’altrove un passato capace, narrativamente, di convivere tanto con il presente quanto con il futuro, all’interno di una medesima dimensione. La geografia si astrae dunque dalla sua stessa essenza, - la superficie materiale del nostro pianeta -, e diventa un’allegoria del tempo. Del resto, c’era chi, come Colombo, vedeva il paradiso nello spostamento fisico, e chi invece, come Proust, nell’irrimediabile perdita del passato.
Le ere, future, presenti e passate, diventano allora paesi, territori, luoghi, il cui senso non risiede più nella veridicità della loro rappresentazione, nella mediazione letteraria di uno spostamento materiale, ma nell’incarnazione di quello che non è possibile giustapporre. E se vogliamo c’è anche di più. C’è il racconto di un viaggio che non è più quantificabile in miglia, in giorni di navigazione, in chilometri. Finite le terre incognite, si apre la dimensione spazialmente metaforica di una coscienza tanto sporca quanto misteriosa.
È il 1897. Londra incarna lo choc della metropoli di cui parlavano già Simmel e Benjamin, è un turbinio, una confusione, un’iper-stimolazione sensoriale, capitale della modernità tanto quanto Parigi o New York. Proprio lì compare il romanzo Dracula dell’irlandese Bram Stoker. Stesso luogo, stesso ambiente, ma due anni più tardi… Cuore di Tenebra, del mezzo polacco Conrad. Anche il più sprovveduto dei lettori non faticherebbe a trovare alcuni dei fili che uniscono queste due opere. C’è il viaggio, c’è un “qui” costituito dall’Inghilterra civilizzata (ma potrebbe essere anche una Francia o una Germania), e un altrove recondito (che sia l’Africa di Kurtz o la Transilvania del Conte) … Queste sono evidenze che, tanto lo sprovveduto quanto il luminare accademico, non tarderebbero a sottolineare. C’è però molto di più in mezzo a questi fili. C’è quell’astrazione della geografia di cui sopra. C’è quello spazio che diventa tempo, coscienza, oggetto di un’esplorazione non più materiale e quantificabile, ma intima, allegorica. Sia Stoker che Conrad fanno della geografia uno strumento narrativo tanto affascinante quanto implacabile per la sua efficacia. La questione non è né semplice, né banale, per lo meno non al punto da lasciarla alla mercé di accademismi vaporosi o peggio di retoriche pre, infra o post coloniali. Tant’è vero che questo invisibile, ma solido filo che lega questi due fondamenti del sentire contemporaneo, non ci viene svelato dagli studi letterari, dalle critiche socio-culturali, né tantomeno dai terzomondismi o dagli x-colonialismi… Niente di tutto questo. Non è né il saggio contenuto in un volume collettivo, né l’articolo qualificato e classificato… meno che mai la monografia.
È tempo allora di tornare alla retorica del caso. È un caso che due mastodontiche produzioni cinematografiche di un medesimo autore si ispirino proprio a questi due romanzi? Di certo non è la volontà di Dio. Il cinema, assai più della letteratura, possiede delle logiche di produzione talvolta indecifrabili, quasi sempre poco lineari. Per fare un film, brutto o bello che sia, non bastano la carta e la penna. Potrebbe allora essere un caso che Francis Ford Coppola si ispiri a Conrad per il suo Apocalypse Now e più tardi a Stoker per Bram Stoker’s Dracula. Un caso, o magari più semplicemente un de gustibus da trovare nella sensibilità del regista. Se però il lettore attento incarna i panni di un altrettanto attento spettatore, ci si accorge di quel filo che i tanti pseudo-specialisti non hanno saputo cogliere. La parola d’ordine risiede nell’adattamento cinematografico, in quella lettura, certamente soggettiva, che Coppola ci offre di questi due romanzi; una lettura assai più lucida e pertinente di tante anatomie letterarie dalla dubbia pertinenza.
No. Non è né il caso né la volontà di Dio a reggere le fila di una geografia che si insinua nella letteratura prima e nel cinema poi. Se accettare la finitudine della terra è una professione di ateismo, cercare nuove dimensioni e nuove frontiere della conoscenza non è un atto di fede. Concedere all’uomo nuove speranze, come fa il mare secondo Colombo, è la professione di un ateismo ancora più radicale, una negazione della trascendenza che equivale all’umanismo più puro.


Visioni:

Apocalypse Now, F.F. Coppola, 1979.
Bram Stoker’s Dracula, F.F. Coppola, 1992.




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